La Moncada: rock sotto pelle

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La Moncada – Nero (Goat Man)

Il rock indipendente italiano di terza generazione, quello fine ’90 metà duemila è rock umbratile, che preferisce guardarsi dentro e scavare nelle pieghe, visto quello che c’è fuori.

Rock della depressione e della recessione è parzialmente corretto se proprio ci si vuole continuare a masturbare con le definizioni.

I Marlene Kuntz e Cesare Basile sono dei buoni, ottimi esempi. Soprattutto quest’ultimo magari, che si ispira cercando anche fuori, nell’America dei grandi spazi popolati di piccole storie, come ci hanno insegnato gente come Hugo Race e Giant Sand.

Oggi non c’è molta roba così in giro, eccezion fatta forse per i Sacri Cuori che preferiscono più la descrizione di quei paesaggi all’affondare nel linguaggio.

Non ce n’è perché si è deciso che è il nuovo cantautorato che si deve spingere.

Bravi allora i La Moncada che invece lo fanno pur non essendo completamente avulsi da quella pulsione ma che non la fanno vincere, mantenendo quella necessaria tensione rock sotto pelle.10443107_10204111786502927_4740002133266601367_o

Bravi quando le chitarre di Carlo Barbagallo e di Andrea Cravero decidono di sommergerci in un modo più subdolo, sollevando ondate scure che travolgono senza saturare le orecchie, riuscendo ad essere perfino gentili. Bravo Mattia Calvo che allo stesso modo utilizza la voce in funzione narrativa con tono apatico e distaccato come da tradizione verista ma capace anche di misurata teatralità quando deve sottolineare certi passaggi.

E bravi tutti quando coralmente lasciano andare gli strumenti ubriachi alla deriva per poi ricompattarsi sempre fino a definirsi nella ‘forma canzone’.

E’ rock che non ti prende per il collo e che chiede tempo, ascolto, atmosfera e giusto mood.

Questi però ce li dovete mettere voi, il resto lasciatelo fare fiduciosi a La Moncada.

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